logo-franco-almacolle
twitterlinkedin
02 21 2021
Ginevra de’ Benci, Leonardo e lo straniamento nell’arte – dedicato a Michela
Sull’onda della polemica fra Luciano Nanni e Umberto Eco, sull’idioletto estetico e l’artisticità dell’opera tra funzione e struttura, ci lanciamo nella meditazione sull’opera di Leonardo da Vinci grazie al ritratto di Ginevra de’ Benci. Fermiamoci davanti al ritratto, … osserviamo innanzitutto lo sfondo. Lo riconosciamo come se ci fossimo andati in un qualche passato, eppure sentiamo intimamente che quella scena, quella luce, quelle guglie non possono esistere, non così. Siamo allora catapultati in un’altra dimensione al cui interno si colloca la relazione tra noi e Ginevra. Lei ci guarda, eppure il suo sguardo ci oltrepassa; proviamo a specchiarci nei suoi occhi e ci affacciamo al baratro dentro di noi. Questo incontro non appartiene al mondo reale; lei non è presente con le proprie emozioni, le proprie convinzioni e i propri desideri, per quanto potrebbe provarli tutti! E noi possiamo presentarci a lei con i nostri peccati senza essere giudicati perché in questo locus essi non rappresentano informazione pertinente. Restiamo sospesi in questo ultraterreno, immersi in una riflessione bruciante quanto angelica. L’incombenza dei cespugli di ginepro ci riporta all’immagine della corona di spine; possiamo pensare che la paranomasia sia solo casuale, una spiegazione posticcia per una scelta dettata dal segno e dal suo senso. Un attacco del male che non colpirà lei che, infatti, rimane indifferente, ma potrebbe colpire noi. Certo, si sa ormai che Leonardo ha riempito le proprie tele di immagini dal significato esoterico o comunque rese opache ad uno sguardo superficiale. In questo è simile ai fiamminghi. Ma è riuscito a “straniarci” al di là dell’utilizzo di questi “espedienti”. Possiamo guardare altri esempi. L’adorazione dei magi sovrappone e contorce figure umane e fantasmi in un caos la cui tragicità richiama Bosch; al di là del fatto che il dipinto sia incompiuto sorprende l’irruzione dell’irrazionale nel sentimento dell’autore testimoniato dal disordine con cui le figure si manifestano sulla scena come nella mente. Il sorriso del Battista è più mefistofelico che angelico a ben guardare; il modo in cui indica in alto, affacciandosi sopra il suo braccio, è più cameratesco che sacro e l’uso del dito un po’ troppo friendly. Solo nel Salvator Mundi Gesù ci benedice così che noi si riesca a farci accogliere benché la precisione del tratto della mano benedicente contrasti con lo “sfumato” del volto che ci guarda benevolmente … con l’occhio sinistro e con freddezza con il destro. Struttura o funzione, allora? Umilmente non prendo posizione, essendo tra l’altro stato allievo di entrambi i proff. a Bologna. Salomonicamente, e con una certa superficialità, proporrei la tesi secondo la quale Leonardo usa strutture, che sono anche strategie, per svolgere una funzione di fondo rendendo il frutto del suo lavoro un’opera d’arte. La sua tecnica e la sua immaginazione danno luogo ad uno straniamento che provoca, soprattutto, una spinta inesauribile alla ricerca del senso; del senso assoluto, voglio dire, per quanto questo “concetto” sia indefinibile …
© 2013 Dott.Franco Almacolle | C.F. LMCFNC59T24L483A | Privacy Policy | info@almacolle.it | by BMBDesign