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OTT 28 2015
Il panico, i conflitti tra le parti … con ristrutturazione in 6 fasi
“Sono rimasto d’accordo con Madame C. di sdraiarmi sul suo divano al ritorno dalle vacanze, ma prima di arrivare a lei ho visto parecchi suoi colleghi, e scoperto in ognuno di loro almeno un difetto imperdonabile. Uno aveva all’entrata del palazzo una targhetta con il cognome prima del nome – Dott. L., Jean-Paul -, l’altro degli sgorbi tremendi appesi alle pareti dello studio, un terzo in sala d’attesa libri che mi sarei vergognato di avere a casa mia. Si può pensare che una mancanza di buon gusto o di cultura non comprometta le capacità di un analista, ma non era quello che pensavo io, e non sarei mai riuscito a sviluppare un transfert positivo su uno che dentro di me consideravo un buzzurro.” (Emmanuel Carrère, Il Regno Adelphi, Milano, 2015; pp. 55 e 56). Questo brano del testo di Carrère mi ha abbagliato e mi ha colpito perché ho sentito un’ennesima assonanza tra lui e me; in effetti, non condividiamo solo la passione per Nietzsche, l’idea che la possibilità dell’esistenza di una dimensione “spirituale” prescinda dalla fede religiosa, … e un ego un po’ “sovradimensionato”. Forse, leggendo il virgolettato e il testo da cui è tratto, c’è un’altra prospettiva che ci accomuna: chi lavora con altri esseri umani dovrebbe considerare la propria professione come una missione e un’avventura spirituale e trarre da ciò un’inesauribile passione, porsi in una dimensione di crescita continua a livello personale e di competenze, studiare, leggere, soprattutto farsi domande; elaborare una visione originale e mantenere una dose di creatività che deriva dalla consapevolezza che ogni persona, perfino un terapeuta, è un essere unico. Soprattutto non dovrebbe essere interessato per nulla al ruolo in sé e al potere che ne può derivare. Certo, non mi aspetto che tutti abbiano avuto modo di trovare l’elicitazione di stato negli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, ma mi aspetto (ad esempio) che TUTTI coloro che hanno utilizzato i protocolli di Nardone sugli attacchi di panico saltino sulla sedia quando leggono nel testo della Shapiro (Francine Shapiro, Margot Silk Forest, EMDR, Astrolabio, Roma, 1998) che per curarli è necessario rimuovere la causa, definita come un evento appartenente all’esperienza dell’individuo. Perché se ciò è vero, e l’asserzione è completa, allora non di può dare che i suddetti protocolli (quelli di Nardone appunto) abbiano potuto funzionare. Infatti per Nardone, l’approfondimento dei contenuti reputati dal soggetto “la causa”, nel caso del panico, è ininfluente e pleonastica. Ma, appunto, non è così per la tecnica oggi più à la page; a p. 82 del libro citato, nel II capoverso, il panico è descritto come un sottoinsieme del disturbo d’ansia e collegato con le esperienze pregresse del soggetto. Siccome in questo periodo mi sto interessando dei disturbi dell’adolescenza (si veda l’articolo precedente Poveri studenti, tra impegni e paure) ho consultato anche Ricky Greenwald L’EMDR con bambini e adolescenti Astrolabio, Roma, 2000. Ricordo. Prima e immediatamente dopo la creazione dell’Ordine degli psicologi, i mondi della terapia e dello “sviluppo personale” avevano molti punti di contatto e a livello delle tecnologie frequenti travasi. Ricordo persone, dovrei dire personaggi, come Walter Orioli: il suo seminario di teatro-terapia terminava con momenti di condivisione durante i quali pubblicizzava il lavoro di altri. Lo stesso Claudio Naranjo, in quel periodo, girava l’Italia tenendo conferenze sul modello dell’Enneagramma come strumento per approfondire la conoscenza di se stessi, ma anche come protocollo a supporto di un intervento terapeutico. Per come è stata gestita la creazione dell’Ordine ha rappresentato un momento in cui l’aspetto giuridico e burocratico è risultato l’unica discriminante per poter poi pronunciare la celebre frase “Chi è fuori è fuori, chi è sotto è sotto”. Nel 1994 Phil Laut mi raccontò che l’Ordine degli Psicologi di una regione, credo la Lombardia, aveva chiesto di organizzare un “professionale” di Vivation (ndr: Rebirthing). Alla fine del seminar, con il diploma in mano, i partecipanti al corso, ovviamente tutti psicologi, chiesero a Phil se lui fosse uno psicologo; quando lui rispose di no, lo informarono che lui il Vivation in Italia non avrebbe potuto più farlo perché ciò avrebbe rappresentato un “abuso di professione” (reato penale)! Dopo aver usato in mille occasioni terapeutiche la tecnica di Phil, dovendola condividere con gli operatori che Phil formò, incurante delle denunce subite, l’“elite” ha potuto trovare una tecnica simile, l’EMDR, che però da subito è stata presentata come uno strumento che può essere usato solo da psicologi abilitati. Insomma, dopo la creazione dell’Ordine, se puoi fai anche se non sai e se non puoi non fai anche se sai. Ma certo, tutto e solo a tutela del cittadino; del resto anche i maghi per esercitare, senza nuocere ad alcuno certamente, devono essere iscritti ad un Ordine. Oggi il Rebirthing è considerata una tecnica new age e perfino l’Enneagramma è osteggiato … dalla Chiesa Cattolica. Bene, torniamo a noi e al panico. Si può pensare che una parte (vedi articoli precedenti e commento in nota[1]) possa appropriarsi di una sintomatologia che ha esordito durante un attacco di panico “utilizzandola” per i propri scopi. In questo caso il Rebirthing, i protocolli di Nardone e lo strumento della negoziazione in sei fasi possono essere integrate in un progetto complesso dove la prima tecnologia può essere impiegata per far percepire il “controllo” delle emozioni, far esperire la potente autonomia di parti della nostra mente che si esprimono attraverso il corpo e iniziare un processo di ristrutturazione. La tecnica di terapia strategica può essere messa in campo comunque,anzi: le attività appena descritte possono favorire il disorientamento, condizione utile nella prassi per la cura del panico. La ristrutturazione, come lavoro con le parti, rimane, in questo caso, la tecnica d’eccellenza (cfr. il lavoro di Milton Erickson e di Richard Bandler con John Grinder) con una “peculiarità” che ricordiamo: essa va possibilmente agita durante l’epifania acuta della sintomatologia (può anche essere ancorata e poi ri-elicitata in fase di terapia). Di seguito una scaletta ragionata per la gestione del protocollo specifico. Ristrutturazione complessa in sei fasi   A) Identificazione dello schema da ristrutturare (X)   B) Stabilire un canale di comunicazione con la parte responsabile dello schema
  1. Elicitare la parte “saggia” che viene ringraziata per essersi presentata, cui viene chiesto il nome e come segnala un “sì” e un “no”.
  2. Elicitare la / le parti responsabili di X (“esecutori”, “mandanti”, ecc.) che vengono ringraziate per essersi presentate, cui viene chiesto il nome e come segnalano un “sì” e un “no”.
  C) Separare X dalla finalità Affermare che si conoscono le buoni intenzioni del responsabile della messa in campo di X e ringraziare.   D) Generare alternative Chiedere alla parte saggia o ad un’altra parte creativa di definire da una a tre alternative oppure chiedere alla parte responsabile della messa in campo di X (mandanti, ecc.) che cosa vuole per smettere di mettere in campo X.   E) Negoziare facendo in modo che le parti partecipino ad un accordo con assunzione di responsabilità   F) Verifica ecologica Chiedere se c’è qualche altra parte che avrebbe qualcosa da obiettare all’alternativa (eventualmente rinegoziare tutto da capo).

[1] Due entità derivate da una sorta di dissociazione della personalità comune a tutti gli individui comunque anche sani per cui un individuo vive, a livelli diversi, un conflitto più o meno distruttivo.
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