AGO
03
2015
Poveri studenti, tra impegni e paure
Se si “salva” il concetto per cui i disagi e le patologie psicologiche possono essere considerate come delle
soluzioni tentate ovvero come processi adattivi il cui esito risulta poco ecologico per il soggetto, allora si dovrebbe considerare normale, ovvero interno al consueto flusso del divenire, il fenomeno per cui nuove patologie sorgono o altre, già manifeste, mutano in termini di gravità e frequenza.
Se cambia (aumentando) il “… logorio della vita moderna
[1]”, nello specifico le sue condizioni di contesto, ecco allora profilarsi nuove risposte e quindi la necessità di adeguati mezzi terapeutici quando esse creano danno e sofferenza.
Intendo individuare due contesti che sembrano risultare a rapida evoluzione: quello dei manager e quello degli studenti.
Se per i primi ciò che è cambiato, semplificando, è l’aleatorietà degli scenari futuri e il loro rapidissimo mutare, per i secondi va posta attenzione all’importanza che viene attribuita dalle famiglie allo studio come viatico per poter trovare un posto di lavoro stabile (… e diventare autonomi, poter metter su famiglia, sentirsi degni del fatto di poter badare a se stessi, ecc.) e un posto nella società. Una volta i genitori minacciavano “Studia … se no ti mando a lavorare!” Oggi diciamo ai nostri figli “Studia, così forse andrai a lavorare!”. La performance allora si carica di senso oltremisura; le conseguenze di ciò risultano banalmente evidenti.
Il cambiamento è così consistente che autori e istituzioni marcano la differenza; ad esempio, in ambito di
Terapia strategica breve, Alessandro Bartoletti dedica un testo alle paure (e patologie limitrofe) proprio agli studenti
[2].
Si diceva di nuovi contesti: certo gli alibi e le paure si coniugano bene; così potremo forse definire fenomeni non nuovi, ma con una ricorsività significativa poiché diversa rispetto al passato. Ho deciso di fare alcune riflessioni sul tema del senso dell’inadeguatezza e su alcuni vissuti conseguenti. Parlerò di ansia (DAG), paura, e panico.
Inizierò dal panico cercando, attraverso una descrizione “tabellare”, di far comprendere, a chi fortunatamente non l’ha personalmente sperimentato, l’epifania più preoccupante, perché al di là delle normali possibilità di una qualche forma di controllo, tra quelle appena definite.
ATTACCO DI PANICO
Descrizione delle fasi del processo
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Esempio
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Sintomi / vissuti
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Percezione di un pericolo – si tratta di un innesco; per questo motivo la “situazione” può non essere pericolosa realmente e oggettivamente. |
Vado a nuotare, decido di arrivare alle boe (lo facevo da giovane), mi manca poco per cui decido effettivamente di provare a raggiungere la meta, mi concentro sulla distanza tra me e la boa; ci arrivo. Quindi, mi giro e mi accorgo di essere particolarmente lontano, gli ombrelloni sulla spiaggia sono molto piccoli, nessuno mi sentirebbe se gridassi aiuto e se non ce la facessi, se mi mancassero le forze per qualche ragione? Provo paura … |
Ho paura di essermi allontanato troppo e di non riuscire a rientrare; ho paura di morire annegato. I miei parametri fisiologici cambiano e io li ascolto. Respiro con meno calma. Posso ascoltare il mio cuore il cui battito accelera, inizia a girarmi la testa, l’adrenalina mi fa sentire di avere poca forza. |
Percezione di un incremento qualitativo / quantitativo della sensazione di pericolo che mantiene la propria causalizzazione. |
Annaspo, inizio a pensare di chiamare aiuto ma quando ci provo non ricevo risposta; sento invece la musica lontanissima che esce dai potenti altoparlanti che in spiaggia trasmettono la musica ad alto volume per la ginnastica sul bagnasciuga. Non dovevo andare così lontano; penso che forse non ce la farò. |
Perdo la coordinazione dei movimenti, mi sento letteralmente perduto, inizio a provare terrore. Perdo il controllo di me; non riesco a pensare ad una soluzione, anzi penso non ci sia una soluzione. Anche fisicamente, “sprofondo” in una paura che non è possibile gestire, la paura di morire annegato. |
Continuo a non accorgermi che la causa dell’incremento della sensazione di pericolo e dell’aggravarsi dei mio stato non è la percezione della distanza del tratto da nuotare per ritornare a riva ma l’ascolto di una sintomatologia psico-fisica che provoca un critico decremento delle mie capacità e competenze. Continuo ad aver paura di annegare e attribuisco la causa all’eccessiva distanza da nuotare. Dovrei invece rendermi conto che la mia è una paura specifica: la paura della paura (… angst vor der angst …). |
Inizio a “bere”; non sento più niente; non riesco nemmeno a capire dove è l’alto e dove è il basso. Compio gesti senza senso. |
Perdo ogni capacità di collegare un pensiero lucido che non ho con un’azione efficiente che quindi non viene compiuta. Vado in tetania. Il quadro si aggrava progressivamente. |
Attacco di panico[3] – commento
Se si escludono problemi fisici (ad esempio al cuore o alla tiroide) e legati a dipendenze (ad esempio farmacologiche) è possibile sostenere che i prodromi eziologici dell’attacco di panico siano sostanzialmente due. Li descriviamo di seguito.
- L’aver vissuto una situazione di pericolo, “fight-or-flight” (sindrome di lotta o fuga – di cui la gravità e l’oggettività non hanno alcun peso) dove le nostre capacità psico-fisiche e / o le nostre competenze hanno subito un decremento senza aver notato la relazione tra i due accadimenti o senza aver definito e fissato la relazione causale che c’è tra di essi.
- Una condizione di DAG nel periodo per cui l’idea di possibile pericolosità (a vario titolo) degli accadimenti della vita dell’individuo è effettivamente percepita ancorché falsa o falsata.
Si può quindi diagnosticare puntualmente una condizione predittiva della persona che può essere (particolarmente) esposta a soffrire di attacchi di panico.
Da qui due distinti protocolli, uno ex ante e uno ex post rispetto alla diagnosi da DSM, che peraltro descrive sintomatologie specificamente fisiche (es.: 2. sudorazione; 8. sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento), di cui non presuppone cause (ad esempio variazioni del livello di adrenalina, di altre catecolamine, ecc.) e cui non “annette” “vissuti” riferiti.
Così nella gestione del panico e della patologia ovviamente correlata, l’agorafobia, si può definire un protocollo di cura che vada oltre la “buona gestione dello stress” collocandosi “prima” degli eccellenti protocolli definiti soprattutto da Giorgio Nardone, ancorché frequentemente abbandonati a favore, ad esempio, dell’EMDR che oggigiorno va bene per tutto, dallo scorbuto alla slogatura della caviglia passando per la schizofrenia (… e benché sia creato da una
stracciatella di altre metodologie).
Il protocollo (ex ante) in questione di cui si possono, in effetti, rintracciare vari elementi in letteratura e nella prassi clinica dedicate ai disturbi appartenenti a questa tipologia dovrebbe spiegare il funzionamento dell’attacco di panico senza bruciare le possibilità di compiere alcune azioni in fase di terapia dell’attacco di panico conclamato, far acquisire una maggiore familiarità con le emozioni e il loro manifestarsi nel corpo umano, evidenziare la relazione tra (alcune) caratteristiche della personalità e uno specifico livello di “esposizione” e far conoscere meccanismi di prevenzione del DAG. …
Un ultimo corollario riguarda il fatto che l’attacco di panico conclamato può derivare dall’attuazione di una “soluzione tentata” messa in campo da una “parte”. In questo caso la soluzione passa per una ristrutturazione / negoziazione complessa in sei fasi. Diversamente potremmo guarire il panico e ottenere una perenne sindrome influenzale. L’elicitazione della parte deve essere eseguita durante l’attacco di panico o a fronte di ancoraggio dello stato in questione!
Anche su questa problematica si svilupperà la seconda parte della discussione; essa tratterà, del panico (nonché dell’ansia e della paura) come “soluzione tentata” negli studenti e, in generale, di quello che potremmo da ora definire “trattamento preventivo”.
[1] Famosa espressione pubblicitaria di un amaro a base di carciofi pronunciata dal celebre (purtroppo soprattutto per lo spot) attore Ernesto Calindri.
[2] Alessandro Bartoletti Lo studente strategico Ponte alle Grazie, Firenze, 2013; cfr..
[3] Criteri diagnostici DSM IV per Attacco di panico: “Un periodo intenso di paura o disagio intensi, durante il quale quattro (o più) dei seguenti sintomi si sono sviluppati improvvisamente ed hanno raggiunto il picco nel giro di 10 minuti: 1. palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia 2. sudorazione 3. tremori fini o a grandi scosse 4. Dispnea o sensazione di soffocamento 5. sensazione di asfissia 6. dolore o fastidio al petto 7. nausea o disturbi addominali 8. sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento 9. derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere staccati da se stessi) 10. paura di perdere il controllo o di impazzire 11. paura di morire 12. parestesie 13. brividi o vampate di calore”